venerdì 25 aprile 2008

IL VERO VOLTO DELLA RESISTENZA

Se la vita glielo avesse consentito, il piccolo Gianfranco Gianotto avrebbe oggi 76 anni. Magari avrebbe avuto dei piccoli nipoti a cui raccontare le memorie della guerra, di un passato scomparso. Forse, ma la vita gli è stata brutalmente strappata all’età di soli 13 anni, perché colpevole di essere figlio di un militante delle Brigate Nere di Chieri.
Ma Gianfranco Gianotto non fu l’unico né l’ultimo ad essere ucciso in prossimità della “liberazione”, di quel 25 aprile di cui ci si appresta a commemorare con sciagurata festività il 63° anniversario.
Mentre a Genova, Milano, Torino, Bologna e in altre città italiane si svolgono i festeggiamenti di una data che non è nazionale perché non rappresenta un momento di gioia ed unità di tutto il popolo italiano - anzi tutt’altro - è bene dare voce a chi non ha voce, guardare l’altra faccia della memoria: i vinti, le vittime, gli sconfitti. Tutti coloro che il 25 aprile lo subirono, non lo fecero. Si tratta di migliaia e migliaia di uomini, donne, vecchi, fanciulli cui, dal 25 aprile in poi, fu strappata la vita, proprio come al piccolo Gianfranco Gianotto, per la sola colpa di trovarsi dalla “parte sbagliata”, dalla parte dei vinti, in un vortice sempre più sanguinoso di resa dei conti.
La maggior parte colpevoli di essere fascisti o presunti tali, altri colpevoli solo di avere un fratello, un amante, un figlio, un padre o un parente qualsiasi arruolato nelle formazioni della Repubblica Sociale per patriottismo o necessità, colpevoli anche senza avere commesso un solo reato.
Il loro numero oscilla tra i 20 mila e i 50 mila scomparsi, torturati e uccisi a partire dal 25 aprile 1945, data che per i loro discendenti non potrà mai essere festa.
Loro sono stati cancellati, rimossi e dimenticati dalla storia, dai vincitori, dai “liberatori”. Spesso la memoria degli sconfitti nella guerra civile italiana è persino più pesante delle tragedie che la precedono:

"Quando ero piccola avevo un incubo notturno: vedevo papà senza testa, decapitato dai partigiani", "Mio fratello scomparve e il suo corpo non l’abbiamo mai ritrovato", "Sono la figlia di uno dei cento fucilati sulla sponda del Piave", "La mamma è stata uccisa perché aveva un figlio arruolato nella Repubblica Sociale", "Quei due giustiziati erano i miei nonni", "Del corpo di mio padre erano rimaste soltanto le mani: le bellissime mani di un poeta".
Questi sono stralci di storie dolenti, persone che di quelle vendette sono state vittime incolpevoli, travolte dagli orrori della resa dei conti quando erano ragazzi o bambini. Persone adesso lacerate dal lungo silenzio loro imposto dai vincitori, i “buoni”, i “liberatori”.
E’ a loro che, in occasione del 25 aprile, va il nostro pensiero, perché due volte vittime: dei partigiani e del silenzio. Questo, per capire cosa fu realmente il 25 aprile.
Non data che segnò l’inizio della liberazione, ma data che per loro segnò l’inizio della persecuzione. Non, dunque, data da festeggiare, ma da commemorare come una delle più grandi tragedie del nostro Paese.
Cosa fu, dunque, la Resistenza? Più la ricerca storiografica approfondisce lo studio di quegli anni, più la Resistenza cessa di essere un mito, e ci appare un crocevia problematico, carico di divisioni, di limiti, di progetti caduchi. Nel linguaggio storico Resistenza significa, per antonomasia, la ribellione di coloro che decidono di combattere per liberare i vari paesi europei occupati dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale.
In Italia però la questione è più complessa, si può dire che gli eserciti invasori fossero due: gli anglo-americani al sud, i tedeschi al nord. I primi - nemici di ieri - divennero “amici”, i secondi - amici di ieri -divennero “nemici”.
Fu così che gli italiani si trovarono a fare due scelte differenti: o combattere al fianco degli ex alleati per riscattare l’onore nazionale tradito dall’armistizio e ricacciare l’americano invasore, o schierarsi contro i nuovi padroni calati dal nord. Chi fosse nel giusto e chi nel torto spetta alla storiografia valutarlo, sta di fatto che la scelta cui molti italiani furono volenti o nolenti sottoposti, determinò l’inizio della guerra civile, una guerra fratricida spietata che non risparmiò nessuno, basata su rappresaglie e contro-rappresaglie.
Essendo però una guerra civile ideologica, basata sullo scontro tra ideologie, per forza di cose il ruolo predominante all’interno della Resistenza fu assunto dal comunismo che intendeva instaurare in Italia una dittatura bolscevica sul modello di quella sovietica. La Resistenza arrivò così ad identificarsi col comunismo in lotta contro il “nazifascismo”, divenendo il suo braccio armato nel processo di conquista dello Stato (1943-1948). I comunisti armarono vere e proprie squadre terroristiche, fanatiche e risolute nella lotta: i GAP e le SAP. Queste squadre avevano il compito di attentare alle unità tedesche per poi fuggire nuovamente sui monti. Ciò provocava l’esposizione della popolazione inerme alla rappresaglia dei nazisti.
Col tempo, l’obiettivo della Resistenza, quindi del comunismo, non fu più solo quello di lottare contro le agonizzanti forze tedesche e la Repubblica Sociale. Essa si propose di realizzare in toto un cambiamento rivoluzionario della società per fare il passo all’instaurazione di una Repubblica sul modello sovietico, fondata quindi sull’ideale bolscevico.
Per questo furono create vere e proprie liste di proscrizione e organi epurativi per far fuori tutti i nemici interni da eliminare: partigiani anticomunisti, carabinieri, sacerdoti, poliziotti, finanzieri, insegnanti, dipendenti pubblici, artigiani, medio - borghesi e ovviamente fascisti.
Emblematica la vicenda del filosofo Giovanni Gentile, freddato nel marzo 1944 in procinto di entrare nella propria casa. La sua colpa fu solo quella di volere la riconciliazione di tutti gli italiani, contro ogni fanatismo estremistico.
O anche la vicenda del sacerdote don Luigi Lenzini, trucidato dopo sevizie e torture nel luglio ’45.
Questo volto della Resistenza, una Resistenza diversa da quella che siamo abituati a conoscere, si contrappone alla Resistenza buona, animata da nobili intenti e grandi ideali di libertà.
Nel marzo 1991, in seguito ad una segnalazione anonima, è stata scoperta a Campagnola (RE) una delle tante fosse comuni scavate dai partigiani e riempite con i resti di persone assassinate durante e dopo la fine della guerra. Proprio l’Italia del Nord fu il centro di vendette e omicidi anche dopo la fine della guerra. Gruppi come “Giustizia Proletaria” o la “Volante rossa” continuarono per alcuni anni ancora a mietere vittime, persone uccise per l’infame odio di classe.
Questo è il volto della Resistenza che voglio ricordare in occasione del 25 aprile, una festa che per molti non lo è stata o non lo è. E’ giusto che tutti possano conoscere anche questo aspetto della Resistenza, al di la dei miti e della retorica ideologica. Bisogna rammentare quello che fu un periodo storico non lontano del nostro Paese, le cui code polemiche si mantengono vive al giorno d’oggi. E’ recente la data in cui il noto giornalista Giampaolo Pansa pubblicò “Il Sangue dei vinti” ed altri libri dedicati alla storia taciuta degli sconfitti del 25 aprile, libri che hanno alzato un alone di violenta polemica. E’ di questi giorni la dichiarazione di Gustavo Selva, senatore uscente del Pdl, che ha proposto “l’abolizione della festa nazionale del 25 aprile”, infatti afferma Selva “per la retorica e i falsi che sono stati fatti, viene attribuito alla Resistenza e alla vittoria dei partigiani un merito che non c’è stato”.
Questo dimostra che, nonostante siano passati 63 anni da quei fatti, essi non sono poi così distanti da noi e si inseriscono a pieno nella vita culturale del nostro presente, così come condizioneranno il nostro futuro. L’importante è non dimenticare e fare i conti con il nostro passato perché questo non accada più.

Claudio Cantelmo

3 commenti:

Simone ha detto...

una cosa è certa: il 25 aprile non costituisce un momento di unità ma di divisione.
E' il prezzo che si paga quando si è l'unica nazione al mondo che festeggia una sconfitta militare

Anonimo ha detto...

Possiamo riprendere sul nostro blog il tuo thread?

Abbiam fatto, sul nostro blog, una nutrita controstoria delle resistenza..

Vienici a fare un giro.

Ciao

caffenero.ilcannocchiale.it

Nico ha detto...

Con molto piacere caffenero. A patto che metti il link del blog e firmi il post con Claudio Cantelmo. Se questi due paletti non ti vanno bene, ci dispiace...ma non copiare e incollare!
Grazie per il tuo interessamento. QUeste idee vanno diffuse al massimo, la verità va diffusa al massimo. Confido in te caffenero.
Ciao